domenica 16 gennaio 2011

Intervista a Sara Simari



Inviato da Harpo il Dom, 07/13/2008

Nella foto: Sara Simari, Gremus/Bruno Italiano, Nicanor Zabaleta e Harpo/Rosangela Bonardi (1991)

Conosco Sara Simari dal 1989, quando, per caso, ci incotrammno in occasione del corso di perfezionamento tenuto da N. Zabaleta a Santiago De Compostela. Eravamo le uniche arpiste italiane, ma io venivo dal Nord e lei dal Sud. Nonostante la distanza ci tenemmo in contatto anche dopo il corso e riuscimmo persino a creare un duo d'arpe e a produrci in alcuni concerti in tutta Italia.
Poi per alcuni anni le nostre strade si sono separate per i reciproci impegni familiari. Grazie a blogarpa, dove Sara mi ha "scovata", si sono di nuovo incrociate.
Sara Simari terrà un Laboratorio di Musica D'insieme presso l'Accademia Musicale Jacopo Napoli di Cava de' Tirreni dal 25 al 31 agosto, in collaborazione con Lucia Di Sapio e a tal proposito penso di fare cosa gradita presentandola attraverso un'intervista.




Sara, quando hai deciso di suonare l'arpa e perché? Questa domanda l'ho già fatta alle arpiste che ho intervistato per blogarpa, ma la rifaccio ogni volta volentieri perché, essendo l'arpa uno strumento che suscita continuamente una curiosità particolare, tutti vogliono sapere perché mai una persona decida di dedicarsi a questo strumento.
Ho iniziato in conservatorio dopo le scuole medie. In realtà non avevo scelto l’arpa, di cui sospettavo a malapena l’esistenza, mi ero iscritta invece a pianoforte, strumento che avevo già studiacchiato privatamente per due anni.
Dopo l’esame di ammissione mi ritrovai momentaneamente ‘parcheggiata’ nella classe di arpa intanto che definissero gli elenchi delle classi. Dopo un mese circa mi convocarono per le lezioni di pianoforte ma io non ne volli più sapere: quello strumento con tante corde e il capitello dorato era proprio quello che volevo!

Quali sono stati gli insegnanti e le esperienze che ti hanno arricchito di più?
Credo che ogni esperienza, anche quella apparentemente più insignificante, contribuisca alla crescita di una persona, soprattutto se si lavora in campo artistico.
Ho conosciuto, e spero di continuare a conoscerne, persone straordinarie per cultura e umanità. Tra gli arpisti ho un ricordo particolare per Nicanor Zabaleta. Lo conobbi la prima volta a casa sua, nella sua splendida villa di San Sebastian nella Spagna basca che amava tanto. Mi trovavo in quelle zone per dei concerti e ogni occasione era buona per esternare agli organizzatori il mio desiderio di conoscere il grande arpista. Insistetti talmente tanto finche non mi presentarono l’intermediario, una famosa pedagogista spagnola, amica della famiglia Zabaleta. Rievocando quei fatti mi sovviene ancora l’emozione che ho provato mentre il taxi saliva per la Cuesta de Aldapeta ma debbo fermarmi in quanto il racconto di quella giornata porterebbe via troppo spazio. Da allora lo inseguii dovunque tenesse un corso, in Svizzera, in Spagna e anche quando teneva i concerti in Italia lo raggiungevo anche solo per prendere un te insieme (ricordi quello in galleria a Milano?).

E' vero fu un momento indimenticabile, di conoscenza e allegria.

Purtroppo nel 1993 il grande maestro si spense privando il mondo di uno degli artisti più brillanti. Grande artista ma anche persona affabile, generosa e spiritosa. Come insegnante amava curare l’impianto interpretativo di una composizione e, soprattutto, si prodigava a ribadire l’importanza di un buon metodo di studio, quale approccio fisico e psicologico.
Altre persone straordinarie, anche come insegnanti, sono state per me Mirella Vita e David Watkins. A Mirella Vita devo (e forse dobbiamo…) l’amore per la ricerca e la rivalutazione del repertorio arpistico nonché per il recupero dell’identità e della portata storica dell’arpa. Se oggi l’arpa è più considerata, dalle scuole alle case editrici, è anche merito suo. David Watkins è un’altra ‘conoscenza’ preziosa. Ho avuto il piacere di invitarlo per una master di 4 gg nell'ambito del festival Voces Intimae, che si tiene in agosto a Paola, bella cittadina della costiera calabra. E' una persona estremamente disponibile, generoso, coltissimo, impegnato socialmente e, naturalmente, ottimo musicista.
Come docente lavora con trasporto e senza lesinare il tempo; ricordo che una mattina arrivò un'ora prima dell'inizio delle lezioni per trascrivere su carta alcuni esercizi giornalieri da lasciare agli allievi: non credo ci siano molti altri concertisti e didatti disposti a fare una cosa simile! Le sue lezioni le ho trovate molto utili sia sul piano delle soluzioni tecniche che sul piano interpretativo.

Qual è l'esperienza musicale che ti coinvolge maggiormente: l'orchestra, la musica da camera, il suonare da sola?
Questa domanda è ancora più difficile dell’altra! Ce n'è una di riserva?
Scherzi a parte, sono veramente incapace di fare una graduatoria ma provo a risponderti seguendo l’ordine che mi elenchi. L’orchestra: sono una patita di opera lirica ed ho la fortuna di suonarla spesso. Certamente c’è più soddisfazione se si suonano Butterfly o Bohème di Puccini che non L’Elisir d’Amore di Donizetti ma quando arriva ‘una furtiva lacrima’………. Poi mi diverto molto anche a fare gli interni di palcoscenico perché si vivono più direttamente le difficili dinamiche di un allestimento operistico. Che dire poi del sinfonico. Mi piacerebbe praticarlo più spesso e mi commuovo se suono Ravel e Debussy: mi sento fluttuare in un immenso e colorato caleidoscopio.
La musica da camera è fantastica (il termine non è casuale vista la mia storia personale…..), chi la pratica ha la fortuna di crescere sul piano artistico e umano, è un’alchimia preziosa che insegna tante cose sulla musica, sul mondo, sulla storia…Si dovrebbe rendere obbligatoria anche nei primissimi corsi di conservatorio. Di recente, poi, grazie anche al recupero di molta musica originale del tardo settecento e ottocento si possono fare delle vere ‘scorpacciate’ di programmi ‘nuovi’ e godibilissimi per chi suona e per chi ascolta.
L’arpa sola è la mia terapia giornaliera, non solo come studio ma anche per il gusto di migliorare conoscenze tecniche ed espressive. Certo sono pochi gli arpisti che vivono di concerti di sola arpa (ahi noi!) ma poco importa, io tengo sempre sul leggio brani vecchi e nuove ‘scoperte’ e mi da grande soddisfazione sentirli ‘crescere’ giorno dopo giorno.

Quando hai cominciato ad insegnare e come ti trovi nel rapporto insegnate/allievi?
Se ti riferisci all’insegnamento dell’arpa ho cominciato circa vent’anni fa’ ma saltuariamente; solo da dieci anni è diventata una occupazione importante. Il rapporto con gli allievi, anche quelli giovanissimi, è sempre osmotico e quindi si impara in due! Con gli allievi ho un rapporto diretto e spontaneo ma deciso. Mi preoccupo sempre di rispettare le differenze e di valorizzarle, senza sovrappormi.

Quali sono i metodi che preferisci?
Generalmente ne uso più di uno, tra quelli che uso volentieri c’è quello di H. Reniè e di M. Grossi. Per gli allievi piccolissimi uso ‘Io suono l’arpa’ di Gabriella Bosio (per l’arpa mancava un metodo simile) e qualche volta ‘Harpe d’or’ di D. Bouchaud. Mi piacerebbe avere quello di Watkins ma non riesco a trovarlo.
Mi interessano molto anche i vecchi metodi come quello di Naderman, madame de Genlis, Bochsa…….

Se dovessi consigliare di iniziare l'approccio all'arpa a che età pensi sia meglio cominciare?
Beh, quando si ha una motivazione autentica va bene a qualsiasi età!
Indubbiamente vi è una buona resa iniziando da piccoli ma non sempre è così e poi bisognerebbe mettersi d’accordo su cosa significa ‘piccoli’ per ognuno di noi. Attualmente ho una allieva di cinque anni che è un ‘demonietto’, leggerebbe anche il giornale con l’arpa, ma questa è un’eccezione. Forse tra i sette e i nove anni è una buona età, credo.

Il tuo lavoro appassionato per la ricerca ha portato in luce autori, arpisti e non, del sud Italia, puoi accennare alla qualità del materiale musicale che hai rinvenuto?

Il mio lavoro di ricerca è infatti una passione che come tutte le passioni assorbe tempo e energia (spesso anche denaro!) ma che non svolgo come impegno principale e continuato e dunque lavoro con tempi dilatati, rilassati, insomma lo faccio per puro piacere! Comunque, come accade spesso, mi è bastato guardarmi meglio attorno, rileggere con più attenzione alcuni testi che sono già in circolazione, lo stesso Schirinzi, diversi libri di Mirella Vita e di Roslyn Rensch, e puntare qualcosa di preciso. Insomma non ho fatto grossi sforzi per ‘recuperare’ spartiti e testi.
Inoltre, grazie alla riscoperta delle arpe storiche e della nascita di collane editoriali interamente dedicate al repertorio originale per arpa (su tutte la collana ‘Magadis’ diretta da Anna Pasetti per Ut Orpheus), il mondo arpistico è in fermento: si va attestando sempre più insistentemente il ruolo storico quanto la portata di un repertorio per nulla inadeguato come molti libri di storia hanno voluto farci credere!

Della ricerca mi piace molto il lato ‘antropologico’ della produzione musicale, del perché, del come, del quando una determinata opera (scritta per arpa poi!) ha preso vita.
Relativamente alla storia dell’arpa nel sud Italia, tutto è iniziato con una richiesta precisa da parte di Mirella Vita e poi ho continuato a interessarmi.
Attualmente sto registrando l’integrale di composizioni per arpa di Alessandro Longo
(proprio quello ben noto ai pianisti!), musicista calabrese e, come spesso accadeva ai musicisti del sud fino agli anni cinquanta, naturalizzato napoletano.
Dalla frequentazione della scuola di arpa di Giovanni Caramiello, nel rinomato e vivace conservatorio partenopeo, sono nate composizioni di pregio che nulla hanno da invidiare a molte composizioni del repertorio arpistico.
La curiosità per la scuola napoletana mi ha poi spinta a fare un viaggio a ritroso nel tempo fino al 500’, documenti del tempo riportano di virtuosi arpisti ed arpiste e compositori. Insomma, contrariamente a quanto si è creduto fino a non molto tempo fa, l’arpa era diffusa e apprezzata, usata indifferentemente come basso continuo che come strumento solistico e siccome ritengo importante ribadire concetti e divulgare conoscenze non solo in sedi ‘accademiche’, di comune accordo con la collega Lucia Di Sapio, ‘approfitteremo’ del corso che terremo a Cava de’Tirreni nell’agosto prossimo, sulla splendida Costiera amalfitana, per presentare sotto forma di Concerto-Conferenza una breve storia dell’arpa legata alla città di Napoli.

Oltre ad essere un arpista completa, so che da alcuni anni ti dedichi anche alla creazione di spettacoli e approfondimenti per ragazzi sulla musica. Hai fondato un'associazione "Centro G. Rodari per la musica" che opera nell'ambito della "Città del ragazzi" di Cosenza. Vuoi descriverci questa tua passione e i risultati che hai raggiunto?
Forse dovrei dire che ho fatto di necessità virtù. E’ difficile mantenersi facendo ‘solo’ l’arpista e quindi ho tentato la strada dei concorsi, ho vinto e poi ho insegnato Educazione Musicale: ho imparato in questo contesto che i ragazzi prendono molto ma danno anche moltissimo.
Credo fermamente che la musica sia uno strumento di crescita straordinario e oggi ancora di più questo strumento è necessario e deve essere accessibile a tutti.
Il grande poeta e scrittore Gianni Rodari diceva che un uomo senza la musica è un uomo con un senso in meno e che, come per l’uso della lingua, bisogna dare l’uso della musica a tutti perché nessuno sia schiavo….
Per questo motivo ho dedicato la mia associazione a Rodari (Centro Rodari per la Musica). Dopo i primi progetti interni alla scuola ho lavorato nella sezione didattica della mia orchestra (la Philharmonia Mediterranea) e poi con il Teatro di tradizione A. Rendano per il quale ho ideato e curato diversi progetti. Da cinque anni mi occupo delle attività musicali della Città dei Ragazzi di Cosenza (struttura tra le più grandi d’Europa con i suoi 33.000 metri quadri!), per questa struttura impianto laboratori musicali per fasce d’età, anche in interazione con diverse discipline artistiche, e curo grandi eventi.
In particolare curo due progetti cui sono molto affezionata: ‘Musicar Narrando’ Rassegna di musica e fiaba per i piccolissimi e ‘MusicaInsieme’, festival di esecuzione musicale per cori e gruppi strumentali. Una sezione del Festival in particolare mi emoziona ogni anno ed è ‘Facciamo orchestra!’, laboratorio allargato di pratica orchestrale (e direi anche pratica sociale) che dura due interi giorni e che produce una esibizione conclusiva carica di grande emozione.
Per questa sezione ogni anno commissiono un brano nuovo. Quest'anno, dopo Campogrande, Giannetta, De Filippis e Basevi, è toccato al veneziano Paolo Furlani che ha messo in musica una divertente fiaba di Rodari: 'Il tamburino magico' per due attori, percussioni, coro e orchestra.
Non contenta, da quest’anno è partito anche un concorso per premiare le migliori composizioni ad uso didattico.
Trovo che sia importante premiare e valorizzare il grosso lavoro che molti insegnanti fanno per rendere più appetibile lo studio o, ancora meglio, rendere più musicale la scuola!

L’altro progetto a me molto caro (una delle cose più divertenti della mia vita)
è Musicar Narrando, apparentemente una 'semplice' rassegna di musica e fiaba, con 'semplici' concerti interattivi per i più piccoli, ma nella sostanza un lavoro lungo e complesso di ricerca, documentazione, preparazione.
La cosa più stimolante e divertente è la parte animativa: il nostro piccolo teatro, di soli 200 posti a sedere, mi da' la possibilità di far giocare i bambini, muovermi tra loro, avere un contatto diretto, insomma creare un rapporto osmotico tra i piccoli e gli esecutori-interpreti.

Stando ai numeri, i risultati di questa attività sono entusiasmanti ma quello che più mi piace pensare e che anche la musica (e l’arpa) faccia parte del bagaglio espressivo che tutti, bambini e bambine, uomini e donne, hanno il diritto di possedere perché la musica serve per cambiare la società, perché attiva l’immaginazione e la creatività che sono motori del progresso e dell’evoluzione.

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