venerdì 23 settembre 2011

Lorenzo Sentimenti, attore, regista, pittore e potenziale arpista!


 


Ricevo ogni tanto delle mail da Lorenzo Sentimenti il quale mi chiede consigli sull'arpa: lo strumento, il repertorio, il metodo di studio.

Di lui potete conoscere la sua attività attraverso il sito del suo teatro. Purtoppo per lui, come per molti artisti di teatro indipendenti sono momenti difficili. (www.fabbricadeisogni.it)
Ma credo di aver capito che Lorenzo non sia un tipo che si abbatte e prosegue la sua battaglia.
Ha due figli e deve fare i conti con la quotidianità come tutti, ma non dimentica che l'uomo non è fatto di solo pane…e come dargli torto. Non è il pane che manca ai più oggi, ma il cuore e l'intelligenza si.

Visto che in una sua recentissima mail mi pone dei quesiti che sono sentiti da molti altri lettori di Blogarpa, pubblico la sua lettera e proverò a rispondere.
Sono bene accetti punti di vista e consigli da parte di lettori interessati. 

Lorenzo mi scrive:
….Mi piace la Sua puntualizzazione sul “docere” fatta a riguardo del libro della signora Bonetti, molto vera.
Adesso avrei una domanda tecnica da sottoporre.

Credo che siano due i modi fondamentali per l'apprendimento della
musica:
Ad orecchio
Attraverso la lettura dello spartito



La mia domanda riguarda me e il mio rapporto con la lettura della musica, col pentagramma insomma. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia stimolante dal punto di vista culturale, ho un fratello di 12 anni più grande che suonava la chitarra, la musica è sempre circolata: ho assistito da bambino “in diretta” alle “rivoluzioni musicali” di quando i Pink Floyd univano “rumori” assieme ai suoni, ma si ascoltava anche classica, altre cose. Poi ero giovane quando è arrivato il punk, etc. etc. Ho sempre usato tantissimo la musica come tramite del mio lavoro teatrale, soprattutto coi bambini e con le persone diversamente abili.
E da bambino avevo studiato un po’ pianoforte. E avevo imparato che il pallino nero lì sul rigo era “sol” e quell’altro sullo spazio “do” ecc. Poi mi sono sempre chiesto quale perfidia avesse deciso che per la mano sinistra non era uguale perché c’era la chiave di basso. E non ho mai capito su che base si potesse dare il tempo alle note solo guardando se il pallino era pieno o vuoto o avesse la gambina… insomma non ho mai capito come da un rigo scritto ci si tirasse fuori una musica, anche perché, ascoltato il brano ci ho sempre messo molto più tempo a cercare di leggere le note che a suonarle a memoria o a orecchio. E i problemi sono tornati anche quando avevo approcciato l’arpa. Forse io in quel senso sono tonto. Non so. Mi sembra veramente che la mia unica possibilità sia di suonare a orecchio, come facevo a 15 anni col gruppo Heavy Metal dove suonavo il basso (devo dire che però lì quel po’ di solfeggio che avevo fatto mi ha un po’ aiutato) o a 26/27 quando ho “investito” il pagamento per un ritratto fatto per una signora in un flauto traverso (stavo riscoprendo il folk sinfonico dei Jethro Tull, e poi eravamo stati per la prima volta in Irlanda e tornati con le borse piene di audiocassette - c’erano ancora quelle… mamma mia…- ricolme di thin whistle e melodie varie…). Di arpa un po’ meno perché c’era roba molto tradizionale e io preferivo gli esperimenti del buon Alan Stivell. …


Caro Lorenzo,
devi sapere che molti musicisti classici che hanno compiuto studi accademici nei conservatori spesso hanno il problema opposto al tuo: non sono in grado di suonare nulla ad orecchio e se non hanno lo spartito rimangono muti.
Da qualche anno sto studiando l'arpa a leve (folk, celtica, irlandese…) e ho dovuto fare i conti anch'io con un approccio diverso alla musica, sia come musicista che come insegnante.
Ci sono diverse scuole di pensiero e diversi modi di avvicinarsi allo studio di uno strumento musicale e la scrittura della musica è un aspetto molto importante, che non deve diventare l'obbiettivo, ma rimanere un mezzo. La trascrizione della musica su carta è un mezzo alle volte indispensabile ma non un fine.
Quando "l'uomo musicale" ha sentito la necessità di tramandare la sua musica a tutti quelli che non erano vicini a lui, o quando la musica si è fatta più complicata e non bastava studiarla attraverso l'imitazione ad orecchio, ha inventato un mezzo per trascrivere i suoni.

La musica è per eccellenza l'attività che viene percepita e riprodotta attraverso l'udito e una delle "doti musicali" è proprio quella di avere  un buon "orecchio".
Orecchio per ascoltare, gustare, imparare ciò che viene proposto da altri e per imitazione apprenderlo e farlo proprio.
Il canto è l'espressione più primitiva (e non intendo più facile…!) e immediata. Lo strumento musicale monofonico viene subito dopo. Arrivano poi gli strumenti polifonici che aggiungono alla voce principale il contrappunto o l'accompagnamento ad accordi e qui l'apprendimento si fa più impegnativo.

Poter trascrivere la musica che si cantava e si suonava divenne presto una necessità per non dimenticare e tramandare in luoghi lontani ed epoche diverse il proprio patrimonio culturale. La necessità fu forse sentita inizialmente a livello religioso, perché la tradizione liturgica era supportata grandemente dalla musica. Per uniformare e tramandare con precisione i canti si cominciarono a scrivere. Il testo aiutava la scrittura che per prima informò sull'andamento melodico delle parti. Inizialmente con segni approssimativi poi via via più precisi.

A tutt'oggi, tale precisione rimane comunque utopia. L'altezza dei suoni, l'armonia, il metro della composizione e il ritmo di ciascuna nota è scritto con simboli che vogliono essere molto precisi, ma continuano a lasciare spazio all'interpretazione e al gusto di ogni esecutore. E ciò è un bene.
Lo scopo del segno grafico rimane comunque molto ma molto utile.

Veniamo più da vicino a ciò che riguarda l'arpa
Gli arpisti celtici antichi, medioveli, e quelli fino alla fine del 1700 tramandavano la loro arte da maestro ad allievo senza nessun supporto grafico.
Le prime trascrizioni delle loro musiche avvenne per lo più grazie all'opera di musicisti, organisti e pianisti ottocenteschi che invece di riportare la tradizione la stravolsero imponendo prassi e armonie tipiche di strumenti a tastiera e di gusto romantico.
E' solo da qualche decennio che la ricerca tenta di recuperare l'originale, ma paradossalmente lo può fare solo attraverso le fonti scritte.
Allora la domanda sorge spontanea: è necessario prima di imparare a suonare un qualsiasi strumento imparare a leggere lo spartito?
Risposta: no, non è necessario! Si può suonare e apprendere la musica senza saper leggere la musica?

Si, ma c'è un ma!

Se non hai un insegnante a tua disposizione che conosca bene ciò che vuoi suonare e non può farti lezione spesso, come fai ad imparare ad orecchio?
Si possono utilizzare le registrazioni e per la postura e la posizione delle mani i video possono aiutare.
Lasciando da parte il discorso tecnico che ci porterebbe fuori argomento, è pur vero che molti metodi moderni utilizzano supporti sonori con lo scopo di aiutare l'apprendimento con risultati sicuramente positivi. Gli stessi metodi, però consigliano anche di imparare a leggere la musica.

Questo mezzo consente di poter raggiungere una certa indipendenza, una volta appresa la tecnica e il repertorio di base, per poter progredire nella ricerca personale futura.
Ho avuto esperienza di allievi che avevano appreso tutto ciò che sapevano solo ad orecchio e poi, persa la guida, non sapevano come proseguire. Addirittura dimenticavano i brani imparati e non sapevano rileggerli dallo spartito.
Ho d'altra parte sperimentato con soddisfazione l'approccio misto, sia con adulti che ragazzi, che hanno imparato a suonare e leggere la musica in contemporanea con molta naturalezza.

In fondo imparare a leggere e comprendere la scrittura musicale non è poi così difficile e impossibile.

Proprio in alcuni di questi metodi moderni vi è un approccio morbido e graduale di entrambe le competenze. Uno fra tutti è quello di Sylvia Woods (citato in un mio post precedente) dove trovate nel video gli inserti di spartito mentre lei li suona.

Il metodo che recupera l'apprendimento orale è usato dagli arpisti irlandesi (una grande caposcuola è Janet Harbison) che prevedono l'apprendimento dei rudimenti della tecnica e del repertorio col metodo ad imitazione dell'insegnante, usando di preferenza il registratore come supporto per lo studio a casa e non lo spartito. Anche loro, appena vogliono crescere musicalmente, imparano la lettura musicale.

Voglio aggiungere però, a difesa del metodo ad orecchio, una considerazione. Suonare un brano, facile o difficile, senza prima averlo ascoltato è un esercizio che serve a chi vuol fare la professione in orchestra o come solista e dovrà acquisire la lettura "prima vista" e dovrà interpretare brani contemporanei mai eseguiti. Trovo invece molto più divertente e stimolante poter ascoltare il brano che si vuol studiare prima di cominciare, soprattutto se fa parte di un filone tradizionale come, per esempio, quello irlandese.
Per questo tipo di musica non è necessario fare ore e ore di solfeggio, ne impazzire sul setticlavio (per chi non lo sa non vi dico cos'è….) ma, con un minimo di impegno si arriva presto a riconoscere tra i pallini neri ciò che serve.
Magari vi darò presto alcuni suggerimenti e trucchi pratici.

A questo punto credo di aver in parte risposto alla domanda di Lorenzo, ma attendo con interesse i punti di vista di voi lettori.

Buono spartito a tutti, ma tendete bene l'orecchio"
Harpo

4 commenti:

Zosimos ha detto...

Più che commenti, forse vale più riportare la propria esperienza di arpista altrettanto principiante...

So leggere abbastanza la musica, tanto da preferire, in genere, imparare un brano leggendo (lentamente!) dallo spartito.
Una volta imparato, tuttavia, esso tende a fissarsi nella memoria mentale e muscolare, e non sento più il bisogno di ricorrere al testo stampato. Ciò mi sembra in un certo senso contrario a quanto vedo fare da orchestrali o solisti professionisti, e anche dalla stessa Rosangela nei suoi video: persone che guardano lo spartito MENTRE stanno suonando... operazione che a me comunicherebbe ben poco, in caso di errore o dubbio nell'esecuzione. Ma forse ciò dipende dal fatto che la mia lettura della musica è lenta, e che non sono in grado di trasmettere alle dita quello che apprendo con gli occhi.

L'arpa mi ha messo di fronte a un "problema" che con altri strumenti si è verificato difficilmente: la necessità di "organizzare" e pianificare l'esecuzione preliminarmente, a causa dell'uso di posizionare le dita PRIMA di produrre il suono stesso. Questo è per me un vantaggio e un problema: da un lato, mi dà una sicurezza che con altri strumenti si ha meno; dall'altro però, è una consuetudine esecutiva che non perdona!

Al momento sto studiando cose di O'Carolan, per costruirmi il repertorio. POichè di questo autore solo la parte melodica principale può ritenersi realmente "fissa", mentre gli arrangiamenti possibili sono infiniti, in genere faccio così: mi occupo di comprendere bene la melodia e allo stesso tempo lo schema armonico (in questo gli spartiti della Woods e della HArbison sono molto utili!). Poi provo a preparare l'arrangiamento della mano sinistra con le tecniche base (arpeggi, bicordi, tricordi etc), tenendo sempre presente i suggerimenti che trovo nei metodi.
In un terzo momento, provo a SCRIVERE l'arrangiamento su spartito, sfruttando uno dei tanti programmi disponibili in rete. In questo modo, ovvero eseguendo l'operazione inversa e diventando io lo scrittore e confrontandomi direttamente con i problemi correlati, spero di acquisire maggiore dimestichezza nella lettura delle cose scritte da altri.

Ho provato Eleanor Plunkett, e il risultato era un po' banale... pazienza! Ora sto lavorando a Planxty Irwin: ne sono abbastanza soddisfatto. Appena terminato, se Rosangela me lo consentirà, mi piacerebbe sottoporlo al suo parere e metterlo a disposizione.

harpo ha detto...

La teoria serve alla pratica, se no che ce ne facciamo?....
Quello che fai tu è ottimo. Apprendi un nuovo brano leggendo lo spartito (note e ritmo) e poi cerchi di farlo tuo per suonarlo liberamente.

Quello che fanno i "professionisti" (me compresa) fa parte di un'abilità che si è dovuta sviluppare per suonare come orchestrale o per il dover suonare nuovi brani con poco tempo a disposizione per memorizzarli.
Per suonare in orchestra, saper leggere lo spartito mentre si suona, è indispensabile. Le note da suonare devono essere quelle, precise precise, ed arrivare nel momento giusto seguendo la guida del direttore. Stessa cosa se si suonano brani di musica da camera.
La "lettura a prima vista" (così si chiama in gergo accademico) serve anche per preparare nuovi brani (magari complicati) avendo poco tempo a disposizione per studiarli.

Quello che invece non funziona o dà meno libertà è interpretare brani folk o di musica leggera (sia da soli che in gruppo) con il viso incollato allo spartito.

Poi c'è il fatto che la diteggiatura sull'arpa è molto importante e imparare a posizionare le dita sui passaggi musicali istintivamente è un'abilità che si acquisisce con il tempo. Piano piano vedrai che riconoscerai a vista gli shape (così li chiama la Harbison) e li assocerai alle dita giuste.

E' un buon esercizio per affinare la tecnica compositiva e imparare sempre meglio il brano, ma per sviluppare la lettura a prima vista bisogna proprio esercitarsi con tanti spartiti nuovi imparando ad "arrangiarsi"…
Per chi non deve però suonare in orchestra o interpretare musica classica di un certo tipo non è indispensabile raggiungere vette eccelse in questo senso.

Per ciò che riguarda i tuoi arrangiamenti mi interessano molto. Non per darti un mio giudizio personale (che io in questa abilità non sono affatto maestra) ma per avere opportunità di crescita per entrambi. E' scambiarsi un po’ di fantasia musicale. Attendo il materiale.

Lorenzo ha detto...

Buonasera a tutti. Innanzitutto vorrei ringraziare Rosangela per lo spazio che mi ha concesso sul blog.
Vorrei precisare che, parlando di lettura della musica, io intendevo la lettura "a vista", diretta mentre si suona il brano, come fa lei e tutti i bravi musicisti.
Però vorrei ringraziare Zosimos per aver condiviso la sua esperienza, che mi sembra una tecnica veramente utile e interessante per "noi" a.a. (che sta per Aspiranti Arpisti). Soprattutto mi piace l'idea dell'arrangiamento personale e quella di fissarlo sullo spartito: non avevo mai pensato che, effettivamente, "scrivere la musica" può aiutare a prendere confidenza con le 5 righe ancor più che leggerla.
A proposito, mi potreste indicare dove poter trovare gli scritti delle signore Woods e Harbison, che a questo punto mi sembrano essere veramente illuminanti? (Per lo meno per quanto ne leggo qui sul blog).
Buona musica a tutti!
Lorenzo Sentimenti

Zosimos ha detto...

I metodi, che ho trovato entrambi utili ma molto diversi tra loro, sono disponibili sostanzialmente online. La Woods ha un sito molto più funzionante di quello della Harbison, che talvolta rende parecchio faticoso l'acquisto di materiale (so che è in fase di ristrutturazione). Inoltre, il sito della Woods vende anche parecchi libri di suoi arrangiamenti, e materiali di altri autori.

Per la mia personale esperienza, mi sono trovato piuttosto bene con il libro di O'Carolan della Woods, che ha il pregio di differenziare gli arrangiamenti a seconda dei livelli... anche se, ahimè, nel suo libro manca Planxty Irwin, la mia preferita (presente però nel metodo della Harbison). La Woods ha scritto arrangiamenti praticamente per qualsiasi cosa, quindi non si fa fatica a trovare quello che serve.

Un'altra autrice che mi sento di consigliare è Suzanne Guldimann, responsabile di alcuni deliziosi libretti di musica elisabettiana riarrangiata per arpa. I brani sono tecnicamente accessibili anche per principianti (nel senso... io riesco a suonarli!), e fanno bella figura. Consiglio "Pastime with good company", e , se fai teatro, "The Bard's Harp", dedicato a Shakespeare