Come noto, Beethoven fu un grande
pianista e fu ritenuto tale dai contemporanei, anche se non dobbiamo
annoverarlo tra i “virtuosi” della sua epoca e anche se visse abbastanza a
lungo per riconoscere lealmente d’essere stato superato nella tecnica dai suoi allievi
come Ries e Czerny.
Al pari di Mozart, divenne
musicista davanti alla tastiera, esordì come ragazzo prodigio e dedicò al
pianoforte i primi saggi di composizione. Prima ancora che come compositore
Beethoven si affermerà come pianista quando, giovane ventenne, giunse a Vienna
e il suo trionfo culminerà nel marzo del 1795 quando si esibì in tre concerti
memorabili tenuti per tre giorni consecutivi in cui eseguì il Concerto in re minore di Mozart, Il
proprio Concerto in si bemolle, alcune
parti delle sonate op. 2 e varie improvvisazioni.
Il pianoforte era lo strumento
del futuro in quell’epoca. Diffuso presso i ceti borghesi in ascesa economica e
sociale, era destinato a rimpiazzare il clavicembalo e l’arpa nei salotti
patrizi.
Lo compresero benissimo, prima
dei compositori, gli editori di musica che negli ultimi decenni del settecento cominciarono
a tempestare i musicisti di richieste di sonate facili per pianoforte.
Quando arrivò Beethoven, Mozart
aveva già dato un decisivo contributo all’affermazione dello strumento. All’epoca
di Beethoven il pianoforte aveva un suo timbro penetrante, potenza e varietà di
suono accresciuti via via dai miglioramenti apportati dai costruttori e serviva
solo esplorarne a fondo la tecnica per farne risaltare tutte le sue possibilità.
Beethoven appartenne alla generazione
dei pianisti compositori che avviarono questa strada.
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