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domenica 28 gennaio 2018

Anaïs Gaudemard e il suo Morceau da concert di Saint-Saëns al Teatro Dal Verme





Ieri sono stata al concerto di Anaïs Gaudemard che interpretava il concerto di SaintSaens con l’orchestra de “I pomeriggi Musicali” di Milano diretti da Stefano Montanari. 
Non conoscevo Anaïs Gaudemard e incuriosita da una sua intervista sul Corriere delle Sera di giovedì 25 gennaio, mi sono informata sul web. Anais è una fuori classe! Vincitrice del primo premio al Concorso internazionale d’Israele nel 2012. 

Il concerto di Saint-Saens mi incuriosiva ancora di più, perché non l’avevo mai ascoltato dal vivo. 
La sala del Teatro Dal Verme la conosco sia come spettatrice che come professionista. Da diversi anni con la Civica Orchestra a Fiati proponiamo lì il nostro concerto di Santa Cecilia. Il concerto più importante della stagione annuale della Banda civica. 

Quando si suona il palco risponde bene e io con l’orchestra a fiati apparentemente credevo di non aver problemi a far uscire le dinamiche del mio strumento, ma da ieri ho dei dubbi perché purtroppo da parte del pubblico non si sente bene in tutti i settori. Al concerto di Anaïs ero seduta all'inizio del terzo settore in zona quasi centrale.







I primi due brani del programma (Faurè e Auric) sono stati piacevoli e l’acustica sembrava buona. 
Quando è iniziato il concerto per arpa la riposta dello strumento nella zona dove ero seduta io non è stata delle migliori. 

La Gaudemard ha iniziato con un piglio sicuro ed elegante e ha interpretato il concerto in maniera impeccabile, purtroppo l’acustica non l’ha aiutata. Ha suonato su un’arpa Salvi prestatale dalla ditta. Credo fosse una Diana. Molte delle sfumature e dei momenti di piano e pianissimo sono scomparsi. 
La mimica aiutava a rintracciarli, ma si sono persi notevolmente.

Non è stata una questione di equilibri con l’orchestra che, abilmente diretta da Stefano Montanari, non ha mai prevaricato l’arpista. 
Infatti anche nel bis, l’Alouette di Glinka, originale per pianoforte, le sfumature più lievi si sono completamente perse. 

Il mio scritto non vuol essere una critica all’arpista, che è davvero bravissima e musicalissima, ma una riflessione su ciò che l’arpa può rischiare in sale da concerto troppo grandi. 

Proprio nell’articolo-intervista di presentazione al Corriere della Sera Anaïs dice “Talvolta si crede che per suonare l’arpa basti accarezzare le corde, come una fanciulla esangue, invece ci vuole forza…”

Verissimo! Infatti le mani femminili sono di solito meno potenti di quelle maschili sull'arpa. Se poi aggiungiamo che l’arpa non è uno strumento che può dare lo stesso tipo di sonorità di pianoforte, parte del risultato è dato, oltre che dall'interprete, dal tipo di strumento suonato e dalla riposta della sala da concerto. 
Allora mi auguro in futuro di poter riascoltare dal vivo questa splendida arpista, magari in una sala meno grande e con un’arpa diversa. 

Unico appunto che faccio alla Gaudemard è la scelta del bis: “Perché suonare un brano per pianoforte e non un brano scritto apposta per l’arpa?”

Ci risiamo col discorso del repertorio: l’arpa classica a pedali non ha davvero uno sterminato repertorio, che ché se ne dica, ma almeno suoniamo quello. 

Si può giocare con le trascrizioni in un recital composito e di solito le musiche scritte per pianoforte sono sull’arpa infinitamente più difficili, quindi spesso i solisti le scelgono per mettere in mostra la loro maestria. 

Ma, per un bis dove si vuol portare alla ribalta l’arpa a pedali, avrei preferito ascoltare “la forza gentile dell’arpa” (come diceva il titolo dell’articolo del Corriere) così come i compositori che si sono cimentati con questo strumento hanno saputo fare. 

Naturalmente è un mio pensiero!



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