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lunedì 17 gennaio 2011

Marcella Carboni, l'arpa e il jazz italiano




Inviato da Harpo il Mer, 04/09/2008

Marcella Carboni l'ho conosciuta per caso, e anzi, se devo essere proprio sincera, ancora non ci conosciamo di persona. E' stato il suo cd "NAT trio", che me l'ha fatta conoscere.
Cercavo nuovi cd sullo scaffale di un negozio di musica nella zona dedicata ai musical e al jazz e mi è arrivato tra le mani il cd di NAT Trio nel quale l'arpa di Marcella Carboni è protagonista. La curiosità di scoprire il suo percorso artistico mi ha spinto a farle questa intervista.

Marcella Carboni ha una preparazione accademica classica di tutto rispetto (diploma in arpa classica in Conservatorio e molti anni di studio di composizione). Oltre avere svolto attività concertistica, da solista, in orchestra e in formazioni cameristiche di diverso genere ha partecipato a master tenuti da importanti arpisti classici.



Perché Marcella hai scelto di suonare l'arpa?

Quando ero piccola mia madre mi portava ai concerti e io senza conoscere gli strumenti tra tutti indicavo l’arpa. Ho iniziato a 7 anni, ma l’approccio con il solfeggio è stato duro così, come capita a molti bambini, il mio interesse stava scemando. Poi a 9 anni ho studiato in una scuola di musica che usava metodi didattici più giocosi e prediligeva la musica d’insieme. Un adattamento di vari metodi come Orff , Dalcroze e Kodaly che parte dalla notazione classica ma la traduce immediatamente in suono e gesto. Io ero l’unica della scuola a suonare l’arpa e la suonavo in mezzo a flauti, chitarre, tastiere, percussioni varie. A 11 anni ho iniziato il conservatorio.

Ci sono altri musicisti in famiglia oltre a te?

No, sono l’unica in famiglia. Ma la mia passione la devo sicuramente a mia madre che ascolta musica dalla mattina alla sera e predilige, come me, la musica dal vivo, senza distinzione di generi, cercando di non perdere nemmeno un concerto.
Quali sono le esperienze didattiche che ti hanno arricchito di più?
Sicuramente la scuola di musica che ho citato prima che non a caso si chiama “non solo musica”, scuola che mi ha accompagnato fino al conservatorio e dove sono poi ritornata come insegnante dai 17 ai 30 anni.
Ma un’insegnante d’arpa a cui devo molto per la sua passione e l’entusiasmo, oltre che per un metodo di studio che prima non avevo, è sicuramente Ester Gattoni. Mi ricordo quando dalla Sardegna viaggiavo in giornata a Piacenza solo per una sua lezione, rientravo a casa con un pieno di energia e voglia di studiare che mi durava un mese intero fino alla successiva lezione.
Inoltre credo che siano stati importanti tutti i corsi fatti dopo il conservatorio, uno tra tutti il corso di Siena all’Accademia Chigiana con Susanna Mildonian.

Ad un certo punto nel 1998, hai incontrato il Jazz frequentando il seminario di Umbria Jazz. Qui hai conosciuto e lavorato per la prima volta con Park Stickney, arpista Newyorkese, che utilizza l’arpa in contesti jazz e hai proseguito lo studio con lui. E' stato l'incontro con Stickney ad aprirti la curiosità per il jazz o già prima ne eri affascinata?

Sono sempre stata affascinata dal jazz, ho sempre frequentato i festival e ascoltato dischi, ma era una passione parallela all’arpa. Si sa che il conservatorio non lascia molto tempo per altri amori, era per me inimmaginabile conciliare le due cose.
Nel 1998 ho incontrato per la prima volta Park Stickney, sono rimasta incantata quando per caso ha iniziato a suonare con un sassofonista che aveva conosciuto in quel momento. Non si conoscevano, non parlavano nemmeno la stessa lingua ma suonavano insieme magnificamente con un feeling incredibile. Usavano un linguaggio comune, quello del jazz. Ho visto chiaramente quello che volevo fare, rientrata a casa da Perugia mi sono messa subito a studiare.

Parlami del tipo di scuola jazz che ti ha dato maggior soddisfazione e che ritieni più valida.

Sicuramente quelle dove ci sono i corsi di musica d’insieme paralleli a quelli di teoria e pratica dello strumento. Per esempio Siena Jazz o Nuoro Jazz sono delle esperienze didattiche e umane importanti. Si vive a contatto con docenti e allievi, dalla mattina a notte fonda, con lezioni, concerti, gruppi di studio improvvisati. Diffido invece dei docenti che non fanno suonare in gruppo e che si concentrano troppo sulla teoria. Premetto che la teoria nel jazz è fondamentale, si parte da una conoscenza profonda dell’armonia e del ritmo, ma ritengo che debba andare di pari passo con l’esperienza diretta, la pratica.

Ho letto che fai esperienza di lezione anche con pianisti: cosa ti possono trasmettere visto la differenza tra il nostro strumento e il loro?

In mancanza di punti di riferimento arpistici, anche Park Stickney mi aveva consigliato di studiare con pianisti. Come dicevo prima, il jazz è un linguaggio: non è importante con quale strumento ti esprimi, l’importante è conoscerne gli stili, la pronuncia, l’intenzione, poi puoi comunicare con qualsiasi voce. All’inizio è dura trovare pianisti che siano disposti ad accogliere la sfida, ma devo dire che io ne ho trovati diversi che hanno saputo trasmettermi tantissimo ognuno a suo modo. Il primo, ma anche il più importante per il mio percorso di studi è Roberto Cipelli, pianista del quintetto italiano di Paolo Fresu.

Per fare Jazz è necessaria un'arpa amplificata: che tipo di arpa usi?

Per suonare con strumenti come la batteria o il basso elettrico è certamente più adatta l’arpa elettroacustica. Il suono è la cosa più importante, prima suonavo con un’arpa classica amplificata con un microfono a contatto. Non era male, ma non era sufficiente ad avere un buon suono in tutto lo strumento. Ora suono un’arpa elettroacustica della Camac con suoni alti, medi e bassi divisibili ed equalizzabili separatamente. Questo permette di avere più controllo del suono in ogni ambiente e con qualsiasi formazione. Per esempio, quando suono con il Nat trio, diminuisco un po’ i volumi dei bassi per non entrare in conflitto con il basso elettrico.

Ora sei più orientata verso questo genere o continui a suonare un po' di tutto?

Il jazz è nato come contaminazione, la musica afroamericana nasce dall’incontro tra la cultura europea e quella africana. Partendo da questa premessa per il mio studio jazzistico ho bisogno e sono curiosa di conoscere altri generi. Continuo a suonare musica classica per mio piacere e in qualche rara occasione. Ho un duo di musica irlandese e bretone con una violinista esperta in questo campo, Angelica Turno, che mi ha insegnato tanto. Sto studiando Tango con un flautista argentino appassionato al genere. Sono un po’ onnivora: ho avuto progetti su cantautori italiani, Tenco, De Andrè, ho suonato e arrangiato la musica per uno spettacolo di cultura ebraica, inoltre lavoro spesso con la Danza contemporanea e il teatro. Ma diciamo che le mie energie si concentrano soprattutto nei miei progetti jazzistici ai quali dedico più tempo e studio.

So che insegni: ti piace altrettanto l'attività didattica?

Si, amo insegnare. Quest’anno ho traslocato da Cagliari a La Spezia e mi sono presa un anno sabbatico dall’insegnamento dopo 17 anni di docenza: mi mancano gli alunni.
Premetto che io non insegno solo arpa, lavoro principalmente con bambini in età prescolare e faccio animazioni musicali di diverso genere con strumenti a barre e a percussione. Insegnavo propedeutica e musica d’insieme per bambini in una scuola civica.

Proprio in questo periodo sto studiando il metodo Edwin E. Gordon che tra l'altro auspica una educazione musicale proprio come l'hai avuta tu da piccola, ricca di ascolti e di esperienze di musica d'assieme. Hai qualche suggerimento sui metodi di propedeutica?

Sinceramente non conosco il metodo Gordon, ma credo che il miglior modo di insegnare sia quello di sviluppare il gusto per musica in generale. Da una parte con ascolti guidati e dall’altra con l’esperienza pratica, se poi si può fare in gruppo tanto meglio. L’esperienza della musica d’insieme è formativa a qualsiasi età e a qualsiasi livello.


A che fase di studio consiglieresti ad un arpista di avvicinarsi al Jazz?

Il giorno prima di mettere le dita sull’arpa. A parte gli scherzi, credo che un sano approccio alla conoscenza dell’armonia e un libero sfogo all’improvvisazione possano andare di pari passo con tutto il percorso arpistico classico. È un’aggiunta che arricchisce sicuramente e stimola la comprensione e l’analisi dei brani classici. Poi ognuno sceglie quel che più gli piace.

Alla fine di questa interessante chiacchierata io e i lettori di blogarpa aspettiamo di ascoltare le tue prossime creazioni e nel frattempo posso consigliare di ascoltare alcuni dei tuoi brani sul tuo sito

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