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lunedì 17 gennaio 2011

"Giochiamo che facciamo musica?"


"Giochiamo che facciamo musica?"

Musica e gioco
Di Elisa Vincenzi

  Con questo post inizia una collaborazione con Elisa Vincenzi che ci racconterà della sua esperienza d'insegnamento musicale ai bambini.
I genitori spesso si chiedono se la musica sia una materia importante per la formazione del proprio figlio, e quali siano i metodi migliori per iniziare.
Alcuni di loro, poi s'immaginano in prospettiva i propri ragazzi salire sul palcoscenico o diventare protagonisti di trasmissioni televisive dove i bambini "prodigio" si mettono in mostra per lustrare gli occhi dei loro parenti.
Al di là della possibilità che alcuni di loro diventino veramente musicisti professionisti o geni della musica, io credo invece che la musica, come le altre discipline artistiche, sia soprattutto un mezzo fantastico per sviluppare e far crescere nelle persone capacità, affetti, stimolare le risorse e peculiarità che stanno in ciascuno.
Le arti, e fra tutte la musica, prima vengono scoperte e praticate dai bambini e prima daranno i loro frutti.
Affinché la musica diventi una parte importante della vita di ogni bambino (e in seguito patrimonio culturale di una persona) è fondamentale che venga "insegnata" o meglio ancora "fatta scoprire" nella maniera più adatta. Ecco allora che entra in gioco la didattica.
Come insegnare ai bambini la musica?
Elisa ci accompagnerà in un viaggio attraverso la sua esperienza e ci racconterà di alcune metodologie che sempre più sono usate. 
Per i genitori che non conoscono la musica spesso è un problema capire quale insegnante, quale strumento e quale metodologia sia migliore per il proprio figlio. A differenza di altre discipline che loro stessi hanno di persona sperimentato, la musica rimane ancora un'arte per molti assai misteriosa, quando, invece, è una delle esperienze più primitive ed istintive che esista. Purtroppo l'accademismo italiano ha rivestito la musica di un velo di "soprannaturale" accessibile a pochi. Molti adulti riscoprono il gusto e il piacere di suonare uno strumento e di capire la musica quando avrebbero desiderato poterla imparare da giovani. Ci auguriamo che non sia più così.



Musica e gioco

Di Elisa Vincenzi

La musica, essendo un mezzo di comunicazione primitivo, si pone come un linguaggio immediato (comunicazione analogica) e per questo motivo essa diviene un mezzo di relazione universale e interculturale.
In ambito educativo è importante e pressoché fondamentale partire proprio da un tipo di comunicazione primitiva e universale, in quanto è il mezzo di relazione più spontaneo nei bambini.
Per questo motivo la musica può divenire gioco, perché il gioco stesso  rappresenta il modo con cui il bambino sperimenta, impara e cresce.
Giocare significa attribuire ad un oggetto o ad una situazione delle proprietà che solitamente non possiedono. È un’occasione di sviluppo intellettivo oltre che affettivo e aiuta il bambino ad immaginare mondi diversi in cui esprimere tutto se stesso. Inoltre, attraverso il coinvolgimento ludico, i piccoli riescono a partecipare globalmente all’attività proposta perché sono impegnati a “fare”. Il gioco deve rendere il bambino attivo, non deve essere qualcosa di già finito in cui sentirsi passivi, altrimenti verrebbe bloccata la creatività. Anche nei giochi musicali dovrebbe essere così: è giusto fare delle proposte che successivamente i bambini possono rielaborare e utilizzare come materiale per sperimentare e creare.
«Il fare nel laboratorio diventava e diventa un tempo sospeso: essere accanto a un bambino che gioca significa stupirsi dello stesso stupore, gioire delle stesse scoperte, sperimentare la stessa curiosità… ritrovando una strada di cui talvolta si perde la memoria» (1).
È importante dare modo ai bambini di provare tante soluzioni diverse per risolvere una stessa situazione e fornire occasioni in cui possono trasformarsi e trasformare continuamente (avete presente i Barbapapà?). I giochi non devono essere a senso unico ma pensati per aiutare il bambino a formare il cosiddetto  pensiero laterale. Coniato dallo psicologo Edward De Bono, con  questo termine si indica proprio una modalità di risoluzione dei problemi che ne prevede l’osservazione da più punti di vista e stimola la persona a considerare più eventualità.
Se inserita in un contesto di gruppo, questa dinamica favorisce la collaborazione e il dialogo perché l’attenzione viene spostata su qualcosa di imprevisto, stimolando la curiosità collettiva.
Altro elemento fondamentale del gioco è infatti la sorpresa.  I piccoli hanno bisogno di stupirsi e di meravigliarsi di fronte alla proposta ludica.
«La sorpresa stimola la curiosità di saperne di più!» (2). Se  un bambino è motivato, allora avviene il passaggio verso l’apprendimento. Non c’è apprendimento quando vengono a mancare curiosità, interesse e motivazione (altro punto molto importante!). Per il bambino è fondamentale dare un senso a quello che fa, anche se questo non significa che deve coincidere per forza con il concetto di senso che l’adulto è solito attribuire agli eventi. Per i piccoli non c’è niente di strano ad entrare in un “castello incantato” ricavato da un grosso scatolone o “andare a cavallo” usando il bastone della scopa…l’importante è che quello che fanno sia inserito in un contesto che per loro in quel momento riveste un significato.  Si tratta del gioco simbolico, del “far finta di”. In termini di laboratorio  musicale avviene la stessa cosa: il bambino viene accompagnato in una dimensione fantastica, in grado di aiutarlo ad entrare in contatto con la parte più immediata e spontanea di sé, in cui giocare ad essere ciò che in quel momento il piccolo sente di voler impersonare. Attraverso queste dinamiche il bambino raggiunge gradatamente gli obiettivi che sottostanno al laboratorio: apprende  i parametri musicali di base e nel contempo a stare insieme agli altri, rispettando turni e regole. Aumentano i tempi di attenzione e di concentrazione, si sviluppano creatività e autostima in un contesto collettivo.

Elisa Vincenzi


Note
(1)BEBA RESTELLI- SILVANA SPERATI, A che gioco giochiamo, Corraini, Mantova 2008, p. 7
(2)BEBA RESTELLI- SILVANA SPERATI, A che gioco giochiamo, Corraini, Mantova 2008, p. 48

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